Malaminchiata. Opera buffa
MALAMINCHIATA s. f. [region. siciliano, comp. di mala e minchiata]. Persona o cosa venuta male, inutile per tutti o, addirittura, dannosa.
Lo spettacolo mette in scena, attraverso lo studio di uno specifico e insolito codice, l’avventura di quattro Pupi: burattini in carne e ossa, resi dagli attori attraverso una specifica qualità di movimento. Ciascun personaggio, come nella tradizione della Commedia dell’Arte, reca con sé una diversa identità regionale e parla un diverso dialetto, dall’aquilano al napoletano, dal torinese fino al palermitano, trasformando la vicenda in una storia comune a tutti i luoghi d’Italia, ciascuno con le sue peculiari vicende, di crisi della cultura, di diversità e integrazione. Protagonista della vicenda è un ragazzo sulla trentina. La sua diversità lo ha ancorato all’immaginario di un’infanzia ormai perduta agli occhi di tutti. Luigi (questo il suo nome) parla con accento aquilano e qualche coloritura dialettale, portando in scena suoni e suggestioni a cui il teatro italiano non è abituato, al di fuori di fenomeni locali di opere dialettali. La mescolanza di inflessioni e suoni, differenti e riconoscibili eppure ben amalgamati, arricchisce lo spettacolo e, pur conservando sapori e specificità locali, apre le porte a un’ampia distribuzione. La scrittura scenica nasce dallo sviluppo drammaturgico attraverso improvvisazione su canovacci autentici della tradizione dell’Opera dei Pupi, dichiarata Patrimonio immateriale dell’Umanità dall’UNESCO. Le scene e gli attrezzi scenici necessari sono stati realizzati artigianalmente dalla Compagnia durante cicli di residenza creativa.
SINOSSI. Luigi è un ragazzetto magro. Balbetta, ha difficoltà a muoversi, a camminare. Come ogni domenica arriva davanti al teatrino dei Pupi siciliani. Aspetta che il portone venga aperto. Gli sembra strano che davanti all’ingresso non ci sia ancora nessuno, che non ci siano i bambini coi loro genitori. Mentre si preoccupa che il teatro quella domenica possa rimanere chiuso, Luigi ricorda la prima volta che è stato lì col suo papà, quando per l’emozione si è quasi fatto la pipì nei pantaloni. Rievoca così tanti dettagli di quella giornata, che si perde nel ricordo, diventando effettivamente un Pupo: acquista le movenze e gli atteggiamenti di un pupazzo, un paladino. Affiancato da altri tre protagonisti, si ritroverà catapultato in una realtà scenica immaginata, ma per lui tanto concreta da fargli perdere completamente le difficoltà poste dalla sua “malattia”, riscoprendosi un essere pieno all’interno della realtà scenica. Alla fine del viaggio, Luigi si risveglia, convinto di aver assistito allo spettacolo, come ogni settimana. Se ne andrà soddisfatto, finalmente riconciliato con la sua personalità, senza sapere che è stata solo la sua immaginazione a dare vita a una storia tanto entusiasmante: il teatro in cui è convinto di recarsi tutte le domeniche è ormai chiuso da tempo per fallimento.
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